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Ricordo di aver conosciuto Giuseppe Sannipoli nei primi anni novanta quando, per motivi di lavoro extra artistico, gli fu assegnata la zona marchigiana del fabrianese nella quale anch'io operavo.

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Sono bastate poche battute per far immediatamente trasparire la nostra comune passione per la pittura. Ci fu subito un denso scambio di esperienze. Lui aveva infatti operato quasi esclusivamente con l'olio, mentre io avevo da tempo abbandonato questa tecnica per dedicarmi quasi esclusivamente all'acquerello, con tutta una serie di rappresentazioni della trascorsa civiltà contadina della mia terra.

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In occasione delle sue visite alla mia Agenzia di Cupramontana, si dimostrò molto interessato ad apprendere la corretta tecnica dell'acquerello e volle assistere a diverse realizzazioni delle mie opere, acquisendone in breve tempo le nozioni fondamentali che gli consentirono di eseguire lavori anche di un certo rilievo.

 

Di contro, caricate nel bagagliaio della sua auto, mi portava sistematicamente alcune tele con i suoi lavori ad olio per conoscere le mie valutazioni e sollecitare suggerimenti.

Devo dire che le opere che mi sottoponeva, già dal primo sguardo mi infondevano subito una sensazione di “piacevolezza” tipica delle opere naif, ma che naif non erano.

 

La sua è infatti una pittura inusuale che trasfigura con grande umiltà la realtà, per renderla serenità del vivere quotidiano, con il tempo che si è fermato.

 

Lui come me è un autodidatta. Entrambi quindi non abbiamo avuto grandi maestri e tutto nasce dalle nostre memorie e dalle nostre esperienze.

 

Nei quadri di Sannipoli c'è una predominanza di natura ed edifici. Assolati o illuminati dal chiarore che riesce ad infondere la luna piena. Bucolici e rasserenanti. E' una pittura che suscita l'incredulità della favola ed insieme la nostalgia del bene perduto, del tempo trascorso. E' il paesaggio della sua Terra. Un paesaggio assoluto e senza limitazioni temporali che ci comunica un utopico equilibrio dell'uomo con la natura e con il paesaggio che lo circonda. Una presenza, quella umana, che nei quadri di Sannipoli non è mai numerosa ma c'è sempre. Ne sono sicuro. L'uomo ha infatti lasciato inconfondibili tracce di se, della sua esistenza, del suo lavoro.

 

I particolari del paesaggio, estremamente curati, i borghi isolati ma non disabitati, le strutture medievali, i campi coltivati e le dignitose abitazioni, sono sicuri indizi di una numerosa “presenza assenza”: di un uomo cioè che non si è nascosto, ma discosto, in contemplazione, quasi per rispetto alla sacralità di quei luoghi, dove hanno dimorato ed operato tanti Santi.

 

La pittura di Sannipoli è il succedersi trionfale di una natura intatta ed incorrotta. Quasi paradisiaca. Anche lo studio accurato delle luci e delle ombre costituiscono l'essenza della sua composizione architettonica e del particolare paesaggio in cui ha la fortuna di vivere. Un paesaggio umile ed al contempo orgoglioso che si alimenta di luce e sole.

 

E' il trionfo di una marea luminosa di verdi colline virginali e di morbidi campi su cui sono a dimora antichi ulivi. E' lo stupore paziente di chi registra le infinite sorprese di una bellezza inattesa, che si giudica scontata solo perchè quotidiana.

Viene rappresentata una bellezza modesta, con un'attenzione per il particolare affettuosa ed instancabile.

 

Non c'è dubbio che quello di Sannipoli per la natura ed il paesaggio della sua terra sia un atto di amore sincero, in grado di cogliere al di la del dettaglio visivo, la miracolosa commovente poesia di tutto ciò che è vita. La poesia più bella è quella delle piccole cose. La sua tavolozza riesce a declinare un cromatismo naturale ed agreste dove dominano gli ocra degli antichi edifici e le scale dei verdi delle colline e degli ulivi. I cieli spesso severi, variano di intensità secondo l'ora del giorno e l'incedere delle stagioni. Quello che ci consegna Sannipoli è una paesaggio atemporale che trasmette spunti di riflessione ottimistici e positivi. E' questo un messaggio che potrebbe suonare quasi ingenuo ed inattuale in una società come quella di oggi, dove anche, e soprattutto l'arte, registra incubi e fremiti di un futuro incerto, minacciato dalle note vicende mondiali.

 

Ma le ombre di questo futuro non sembrano aver ancora toccato le opere di Sannipoli. La sua natura non porta ancora le offese dell'uomo tecnologico, non denuncia ancora traccie di scempi e disastri ecologici. Non è deturpata dalle cicatrici permanenti di violenze terribili.

 

L'unica ansia dolorosa la si può cogliere nella rappresentazione dei tronchi artritici e contorti degli ulivi a dimora nei suoi paesaggi. Al di la di questo, tutte le opere sono la struggente adesione ad un mondo ed ad un uomo ancora innocente. Forse nasce proprio qui quella sensazione di piacere che, come detto, ho subito provato nel visionare le opere di Sannipoli. La sua pittura è sempre più nostalgia di un mondo sereno, offendo una lettura facilitata delle opere per il linguaggio universale che utilizza.

 

Con i suoi lavori è riuscito nel difficile compito di coniugare due precise culture: quella poetica e quella pittorica, con quel citato contrappunto di luci ed ombre abbinate ad una grumosa matericità che trasmette sensazioni di grande sensibilità artistica.

 

Sono convinto che anche per il futuro i lavori di Sannipoli tenderanno sempre più al superamento della pittura intesa come rappresentazione della realtà, per costituire un volenteroso invito alla riflessione.

 

Giò Piattella – Pittore – Cupramontana (An)

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LA CRITICA

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